lavoro in una biblioteca finta

E’ un po’ che non aggiorno sui miei utonti, non perché non abbia da raccontare ma perché mi cadono le braccia tra docenti che si fan fare la fotocopia della dichiarazione dei redditi, assistenti che pensano di essere padreterni e studenti a ruota. Piattume di no non ti lascio il tesserino perché ti ruberesti la mia anima, no la borsa me la tengo perché portare due libri a mano mi ucciderebbe, no il cellulare è collegato inscindibilmente al mio orecchio, no il libro me lo tengo quanto mi pare e degli altri chi se ne frega. Degli altri chi se ne frega è il leit motiv.

Ogni tanto però delle perle.

Luogo: sala riservata ai tesisti di giurisprudenza muniti di computer (cosa scritta in evidenza a caratteri cubitali, con aggiunta ‘chiedere agli addetti’), con accesso di fronte al banco addetti.

Entra figliuolo con zaino e va sparato alla sala.

Io: Scusi, la borsa va fuori e il tesserino all’ingresso…
Niente. Noto le cuffiette e sento la musica. Vado nella sala.
Io (sorridendo, che tanto è l’unico modo): Se il suo ipod è così alto che non ha sentito che l’ho chiamata, allora è decisamente troppo alto per una biblioteca (sorriso).
Lui (strafottente): Ma lei ha mai lavorato in una vera biblioteca?
Io (smetto di sorridere): Sì. E lì non dovevo sentire risposte come questa. Abbassi la musica, porti fuori la borsa e mi porti il tesserino, grazie.

Il tipo esce, mi lancia un tesserino e va agli armadietti delle borse.
Io: Ho bisogno del tesserino universitario, grazie.
Glielo rendo, mi las(n)cia quello universitario e entra nella sala.
Guardo il tesserino: lettere e filosofia.

Entro nella sala.
Io (esasperata ma neanche troppo incazzata): Lei non può stare qui, la sala è riservata ai tesisti di giurisprudenza con computer, ogni dipartimento ha i suoi posti riservati quindi cortesemente vada al suo.
Lui (strafottente): Ma l’ho sempre fatto.
Io: Si vede che ci è sfuggito che non era di giurisprudenza. Devo chiederle di andare alla sua facoltà.
Lui (strafottente): Io non me ne vado.
Io: Non può stare qui.
Lui (strafottente): Chiami pure la vigilanza.

Esco (furente), e chiamo il mio capo.
Capo: Segui la procedura, manda il tesserino in direzione e avvertilo che dovrà andarlo a ritirare lì così gli fanno la lavata di capo.

Prendo il tesserino, sto per scendere e il tipo passa (avantindrè, avantindrè, che bel divertimento…).

Io (seccata ma calma): Dovrà ritirare il tesserino in direzione.
Lui (strafottente): Perché?
Io (???): Perché lei non può stare lì.
Lui: Non alzi la voce con me!
Io (??????): Non ho alzato la voce.
Lui: Non si permetta!
e mi tira addosso l’elenco delle riviste.
Intervengono il mio collega e due studenti dicendogli di stare calmo. Questo con sorrisino strafottente bello pacifico rientra e si rimette in sala.

Chiamo il mio capo, lo porta fuori, gli parla e indovinate un po’? Il tipo mezz’ora dopo mi fa sì le scuse, ma è di nuovo dentro bello pacifico.

Ma chi me lo fa fare.

2 opinioni su “lavoro in una biblioteca finta

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