Archivio mensile:settembre 2008

un anno e sembra ieri e un milione di anni fa

Un anno fa ero tranquillissima finché non ho messo il vestito, poi non ho capito più niente.

Nelle foto fatte a casa sembro una sagoma di cartone che viene spostata di qua e di là.
Sono uscita in anticipo basandomi sull’orologio di mio padre, notoriamente avanti, per cui sono arrivata alla chiesa in anticipo, con tutti – sposo compreso – ancora fuori, ed è già tanto che non abbiamo investito la vecchietta con carrello appostata sulla soglia per vedere la sposa che in realtà le arrivava alle spalle.
Nel cortile ho visto momo e paco che mi avevan detto che non sarebbero venuti, e invece c’erano e mi sono commossa.
Giovanna mi ha sistemato il vestito ed era bellissima e commossa e poi mio padre è partito a passo di carica (povero mio fratello che guidava e dovevamo aspettarlo e invece niente) che invece che la marcia nuziale di Mendelssohn sembrava quella di Radetzky e così mi son fatta la cortissima navata in 5 secondi netti ma comunque non capivo niente e vedevo solo Fede con un vestito che non mi sarei mai aspettata ma era bellissimo e azzurro.
Poi è uscito il prete e insieme a lui c’era il mio ex compagno del liceo Jacopo che chi se lo aspettava e mi son commossa di nuovo.
Poi è iniziata la cerimonia e il bouquet (che mi hanno sbagliato e invece di essere solo roselline bianche e foglie verdi aveva tutta una roba di tulle intorno che io ho ripiegato a forza intorno al gambo) si è capottato giù dall’inginocchiatoio e poi l’anello è rotolato giù dal cuscino e tutti a cercarlo per terra mentre il bimbo che teneva il cuscino ci assicurava che non era stato lui, e poi l’altro anello invece non si voleva slegare e il prete tirava il cordino ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Ricordo vagamente che tutti i pezzi sono stati recuperati da Giorgio che invece sono certa essersi occupato efficientemente del velo.
Nel frattempo il prete un po’ anzianotto si è dimenticato che era un matrimonio misto e ha fatto tutta una predica sulla fede in Dio degli sposi, e io ero molto arrabbiata e anche triste ma poi mi è venuto in mente che magari avrà fatto la nostra predica a un altro matrimonio e chissà che casino con le nonne che chiedevano a tutti chi era quello non cattolico e mi è un po’ scappato da ridere anche perché Fede mi faceva l’occhiolino.
Poi alla fine il prete si è accorto che mancava tutto un pezzo e si è ricordato e quindi ha dato la benedizione ‘a chi la vuole’. Evabbè.
Di quasi tutto mi sono accorta vagamente dato che per tutto il tempo ho cercato di non stritolare le dita a Fede.
Alla fine i testimoni han firmato (vorrei ricordare che in particolare MILVANA HA FIRMATO) e ho pensato che non avrei potuto scegliere diversamente, e quando abbiamo finito con le firme e volevamo uscire c’era l’altra bimba bellissima che aveva deciso che i gradini dell’altare erano SUOI e ci guardava da sotto in su con un chiarissimo messaggio negli occhi: ‘io di qui non mi muovo, son cavoli vostri’ ma poi ci ha gentilmente fatto passare.

Poi quintali di riso e bolle di sapone e baci da cinema e la panchina dei libri corsari, e noi che non riusciamo a muoverci dal sagrato mentre salutiamo valangate di gente, un sacco di gente che ha fatto viaggi da non so più dove per essere lì e non ci potevo credere, e poi Carlo salvatore della patria che arriva con due bicchieri di spumante che noi l’aperitivo manco l’abbiamo visto, e Livia che ci porta via dal placcaggio per ballare Una giornata senza pretese che ormai è proprio la nostra canzone e pazienza se avrà un significato recondito anche questa (che tra il fraintendimento di Amandoti e il precedente di A perfect day il dubbio ci è venuto ma al massimo sarà un significato alcolico visto l’autore) e noi però non eravamo in grado di ricordarci come si balla quella musica lì e allora abbiamo un po’ dondolato sul posto ma sembra che nessuno se ne sia accorto. Ed è stato molto romantico.

Poi via con la macchina al naviglio e alla Madonna di San Celso come da vera e quasi dimenticata tradizione milanese, e lungo la strada in macchina (scoperta) la gente salutava e allora anche noi che siamo educati salutavamo e a un certo punto mi sembrava di essere la regina d’Inghilterra ma è stato molto carino.

Poi a cena abbiamo iniziato dando istruzioni a pelodia che si è perso, poi mio zio mi ha dato la catenina della nonna e mi sono commossa di nuovo, e Fede all’alba delle 9 passate mi guarda e mi fa ‘oh ma tu avevi delle rose nei capelli?!?’ e mi ha fatto morir dal ridere, e poi abbiamo passato la serata a spiegare a tutti i tavoli cos’erano i libri a centrotavola e che sì, se li potevano portare via, e no, poi non li dovevano tenere perché il bookcrossing blablabla, non siamo riusciti neanche a parlare con tutti ma tutti hanno fatto le foto coi nani da giardino a nostra insaputa, un’idea geniale, ed è stato tutto meraviglioso.

Peccato solo che ci siamo dimenticati a) di fare le fotone di gruppo classiche e b) di far fare un discorso a Iorek, ma oltretutto avevamo dovuto dire niente discorsi perché se no partiva mia zia che sostiene che da piccola venivo chiamata Luciotta (cosa che mia madre nega recisamente) quindi poi se lo facevamo fare a lui ci cuccavamo Luciotta.

E’ stato il matrimonio più romantico che avrei potuto sognare.
E quest’anno ci siamo regalati una domenica senza pretese (coccole, cazzeggio, cibo francese senza dimenticare dell’estemporaneo bowling) e davvero, forse è solo dopo un anno che ti rendi conto di quanto possa essere un lusso. E ti chiedi come avresti fatto a vivere senza il destino normale.

Sotto un cielo di nebbia
che cielo non è
è un altro giorno insicuro
che io passo con te
E ci troviamo qua
tra lampioni e vetrine
tra pezzi di scarpe liquori e cucine

E’ stato forse per noia
o per mancanza di vino
siamo usciti di casa
e andati incontro al destino
destino normale
fatto di punch e giornale
di risate spremute
e di parole taciute

E’ una giornata
senza pretese
e non ci succede
una volta al mese
Stiamo qua
abbracciati
ad aspettare la sera
e se mi guardi
io non ti vedo
ma mi ricordo
del nostro amore
stiamo qua
messi qua
ad aspettare la sera

E i miei occhi
coi tuoi
vanno incontro alla strada
sui motori e le luci
brilla altera la luna
e non parliamo di niente
in questa scura pianura
L’auto va dolcemente
dentro la notte piu’ scura

E’ una giornata
senza pretese
e non ci succede
una volta al mese
Stiamo qua
abbracciati
ad aspettare la sera
e se mi guardi
io non ti vedo
ma mi ricordo
del nostro amore
stiamo qua
messi qua
ad aspettare la sera…

brivido

Sono la zia di Andrea, 3,450 kg, due ore e mezza di doglie, nato di giovedì come mamma, nonno e tutti gli zii e zie.

E’ un batuffolo che tenerlo in braccio fa quasi un po’ paura.

Ma già si vede che pensa alla sua zia più vecchia: è nato la notte prima che avessi il turno, così me lo son potuto spupazzare tutta mattina. Così piccolo e già un genio 😛

senza parole

veramente oltre ogni disgusto.

da qui:

Email che fanno male.

Alla CA. Gentile Direzione Carrefour di Assago

Mi chiamo Barbara e sono la mamma orgogliosa di un bambino autistico di quattro anni.

Nel Vostro sito, leggo della Vostra missione e soprattutto del Vostro impegno nel sociale.
“La nostra capacità di integrarci con il territorio in cui siamo presenti, di comunicare con le istituzioni locali e di sostenere progetti sociali e associazioni umanitarie si riscontra attraverso azioni concrete:

• Finanziamento della ricerca contro alcune malattie del XXI secolo
• Sostegno alla giornata nazionale indetta dal Banco Alimentare per la raccolta di generi alimentari
• Sostegno di iniziative umanitarie di vario tipo”

Lasciatemi dire che oggi nel punto vendita di Assago avete sfiorato la discriminazione punibile per legge.

Era previsto un evento che mio figlio aspettava con ansia: il tour delle auto a grandezza reale del film Cars.

Vestito di tutto punto con la sua maglietta di Cars, comprata DA VOI, oggi l’ho portato, emozionatissimo, ad Assago. Vista la posizione di Saetta, ci siamo avvicinati per fare una foto. Click, click, click, bimbo sorridente a lato della macchina. Avevate previsto un fotografo, sui sessant’anni, sembrava un rassicurante nonno con una digitale da 2000 euro, collegata a un pc dove un quarantacinquenne calvo digitalizzava un volantino carinissimo con le foto dei bimbi di fronte a Saetta, stampate all’interno della griglia di un finto giornale d’auto. Una copertina, insomma, che i bimbi chiedevano a gran voce e avrebbero poi incorniciato in una delle costose cornici in vendita nel Vostro reparto bricolage. Chiaramente, il mio biondino, che purtroppo per la sua malattia non parla (ancora), mi ha fatto capire a gesti che gli sarebbe piaciuto. Per quale ragione non farlo? Semplice, lo avrei capito dopo poco.

Attendo il turno di mio figlio, con estrema pazienza, e senza disturbare nessuno. Ci saranno stati una ventina di bambini, non di più. Non cento, una ventina.

Arriva il turno del mio piccolo, e non appena varca la transenna, resta il tempo di ben DUE SECONDI girato verso il suo idolo a grandezza naturale, invece di fissare l’obiettivo del fotografo. Mi abbasso, senza dar fastidio alcuno, scivolo sotto la corda e da davanti, chiedo a mio figlio di girarsi. Il fotografo comincia ad urlare “Muoviti! Non siamo mica tutti qui ad aspettare te” Mio figlio si gira, ma non abbastanza secondo il “professionista”. Gli chiedo “Per favore, anche se non è proprio dritto, gli faccia lo stesso la foto…” “Ma io non ho mica tempo da perdere sa? Lo porti via! Vattene! Avanti un altro, vattene!” Un bambino a lato urla “Oh, mi sa che quello è scemo” e il vostro Omino del Computer, ridendo “Eh, si! Vattene biondino, non puoi star qui a vita!” Mio figlio, che non è SCEMO, non parla ma capisce tutto, sentendosi urlare dal fotografo, da quello che digitalizzava le immagini e dalla claque che questi due individui hanno sollevato ed aizzato, si mette a piangere, deriso ancora dal fotografo che lo fa scendere dal piedistallo di fortuna che avete improvvisato davanti alla macchina, facendolo pure inciampare. A nulla valgono le imbarazzate scuse della guardia giurata,che poco prima aveva tranquillamente familiarizzato con mio figlio. L’umiliazione che è stata data dai Vostri incaricati, che avrebbero dovuto lavorare con i bambini, a un piccolo di quattro anni che ha la sfortuna di avere una sindrome che poco gli fa avere contatto visivo con il resto del mondo e non lo fa parlare, è stata una cosa lacerante. In lacrime, con il torace scosso dai singhiozzi, umiliato, deriso, leso nella propria dignità di bambino non neurotipico. Una signorina, con la Vostra tshirt, mi si è avvicinata per chiedermi cosa fosse successo. Alla mia spiegazione, dopo averle detto che il piccolo aveva una sindrome autistica, mi ha detto “Ma se non è normale non lo deve portare in mezzo alla gente“.

Son stata talmente male da non riuscire a reagire, ho dovuto uscire all’aria aperta, con il bambino piangente, per prendere fiato dopo tanta umiliazione.

Ho pianto. Dal dolore.

Questo è l’articolo 2 comma 4 della legge 67 del 1 Marzo 2006, a tutela dei soggetti portatori di handicap:

-Sono, altresì, considerati come discriminazioni le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per motivi connessi alla disabilità, che violano la dignità e la libertà di una persona con disabilità, ovvero creano un clima di intimidazione, di umiliazione e di ostilità nei suoi confronti.

Vorrei sapere come intendete agire, se con una scrollata di spalle come i Vostri dipendenti, di fronte a un trauma che avete fatto subire ad un bambino che già dalla vita è messo ogni giorno a dura prova.

Manderò questa mail in copia alla segreteria dell’onorevole Carfagna, e alla redazione di Striscia la Notizia, oltre a pubblicarla sul mio sito personale.

Tacere non ha senso, e ancora minor senso hanno le umiliazione che io e mio figlio abbiamo subito oggi.

Firma.

 

vecchiolini allo sbaraglio/4

Dato che ormai so che nelle principali città europeee esiste, anche stavolta mi sono informata di dove fosse la chiesa italiana in modo da seguire la Messa capendoci qualcosa.
Addirittura stavolta era indicata sulla guida del touring, quindi il giorno prima di ferragosto (Messa di precetto) chiamo il numero di telefono indicato per sapere l’orario.
Mi rispondono (giustamente) in ungherese, io proseguo in inglese che ok che è la chiesa italiana ma magari chi mi risponde no, l’altra persona mi chiede (in inglese) se sono italiana, io intelligentemente rispondo yes, lui mi risponde (in inglese!) perché allora non parliamo italiano 😛
Insomma alle 10 del 15 agosto sono lì, d’accordo con Fede che mi raggiunge fuori intorno alle 11.
Siamo in 4 (più un mutevole numero di vecchiette), dato che a Budapest è giorno lavorativo.
Al termine della Messa, il sacerdote dice in italiano e in ungherese che come è tradizione della parrocchia italiana di Budapest, nella sala a fianco verrà servito del vero caffè italiano, se vogliamo andare ecc. (il che è anche logico dato che una comunità italiana all’estero serve anche a conoscersi e fare da supporto).
Io che non riesco a bere nessun caffè che non sia della moka o del bar italiano, no solubile no nescafè no altro, alle parole ‘caffè italiano’ non capisco più niente e mi fiondo dimentica del marito (che fortunosamente mi troverà più tardi).ò

Mentre sto per entrare sento da uno degli altri 4: ‘ma tu scusa lavori in C.?’
Collega che ha sposato ungherese.
Siamo ovunque.

 

A domani con l’ultima parte.

correttori di bozze, una prece

Mi rendo conto che siamo quasi al punto di sparare sulla croce rossa, ma in questo interessante articolo del corriere.it:

Il software open source disponibile in oltre 100 paesi
Arriva Chrome, il browser targato Google
Il colosso di Mountain View pronto a sfidare Internet Explorer e Firefox

Chrome spiegato da un fumetto  Chrome spiegato da un fumetto


SAN FRANCISCO – Arriva il browser di Google. Il colosso di Mountain View è pronto a presentare a breve Google Chrome. La conferma è arrivata dopo che in Rete si è diffuso un fumetto che spiega, abbastanza nel dettaglio, come sarà il software. Nel giro di poche ore, la stessa Google ha confermato la notizia. «Lanceremo la versione beta di Chrome in oltre 100 Paesi – si legge nel blog ufficiale di Google – Crediamo che questo possa aiutare l’innovazione sul web. Tutto noi passiamo molto del nostro tempo dentro un browser. Facciamo ricerche, chattiamo, spediamo e-mail, facciamo acquisti, leggicamo notizie, ci teniamo in contatto con gli amici. Ma ci siamo resi conto che il web si è decisamente evoluto da semplici pagine di testo a applicazioni sempre più interattive che necessitano un ripensamento completo del concetto di browser».

CARATTERISTICHE – Ma come sarà Chrome? Quelli di Google promettono una più rapida e veloce navigazione su Internet: il broser dovrebbe differenziarsi in modo netto dagli altri browser. Tra l’altro, sarebbe "open source", ovvero modificabile anche dall’esterno. «Un borwser pulito e veloce».

RIVALI – La mossa appare rischiosa per Google, che si metterebbe in competizione diretta con il browser Microsoft, vale a dire Internet Explorer. Sebbene da lungo tempo circolino indiscrezioni su un possibile browser targato Google, la società fino a ora ha preferito concentrarsi sulle applicazioni web, cercando di competere con Microsoft solo in modo indiretto. Google potrebbe inoltre rivaleggiare con la Mozilla Foundation, che ha lanciato Firefox, browser gratuito sempre più popolare tra i navigatori.

02 settembre 2008  

 

sono riusciti, oltre a fare una ventina di errori di battitura, a scrivere browser in tre diversi modi, di cui ovviamente uno solo corretto, nell’arco di ben due righe.

vecchiolini allo sbaraglio/4

Una volta deciso che pensavamo forse magari se ce la facevamo di andare a Budapest, tutto il mondo ci ha detto a) è bellissima b) non perdete il Parlamento.
Al punto che mia zia, non esattamente una tecnofila, mi ha mandato un sms apposta.

Indi per cui, una volta arrivati, vedere il Parlamento ungherese era un must (subito sotto alle terme, ovviamente).
Essendo una brava bimba diligente, prima di partire mi ero anche stampata la pagina con le info, dalla quale si deduceva che a) non si poteva prenotare b) i cittadini europei non pagano c) la visita guidata in italiano si tiene alle 11.30.
Per cui ci avviamo bel belli verso il Parlamento dove arriviamo alle 10 pensando che in un’ora e mezzo hai voglia.

Dunque funziona così. Tu arrivi fuori dal Parlamento, fai il giro finché non vedo una fila lunghisssssssssssima tuuuuuuuuuuutta sotto il sole che termina prima del cortile, vai all’inizio della fila, leggi il cartello nelle varie lingue con gli orari delle visite guidate nelle varie lingue, per sicurezza chiedi al soldato di guardia che ti dice che no, non è la fila per entrare ma sì, è la fila per comprare i biglietti ma sì, i cittadini europei non pagano ma no, non possono presentarsi alla visita guidata, devono comunque fare la coda per comprare i biglietti che poi non pagheranno, poi ti fornisce eventuali informazioni contingenti (tipo nel nostro caso che i biglietti per la visita delle 11.30 sono finiti ma meglio prendere subito quelli per la visita delle 4), ti rimanda in fondo alla fila e aspetti.
Aspetti.
Aspetti.
Aspetti perché in pratica funziona che il primo della fila passa, attraversa tuuuuuuuuuuuuutto il cortile, entra nella biglietteria, compra i biglietti e/o li prende e non li paga, esce, ripercorre tuuuuuuuuuuuuutto il cortile, arriva all’inizio della fila e SOLO ALLORA il soldato fa entrare il successivo. Si va dai 5 ai 10 minuti a biglietto.

Dopo 90 minuti circa è il nostro turno. Partiamo baldanzosi e confortati dal fatto che cmq quella delle 11.30 ce l’eravamo ormai persa. Arriviamo alla biglietteria. La sciura angloparlante ci dice che i biglietti per le 11.30 sono finiti. Ok. Anche quelli per le 4 sono finiti. Rimangono solo quelli per la visita guidata in spagnolo delle 12.30. Noi ci perplimiamo. Fuori ci saranno almeno 200 persone di tutte le lingue e nazionalità cui nessuno ha detto NULLA. Diciamo vabbè. Li prendiamo per domani. La signora dice che non si può. Io chiedo, per sicurezza, parla in inglese, magari non ho capito bene, come non si può? Fede che è molto anglofono mi conferma che non si può.

IO ESPLODO.

What? We waited outside there for ONE HOUR AND A HALF and nobody told us and all the other people out there that the tickets finished, and now WE CAN’T TAKE THE TICKETS FOR TOMORROW?

Fede cerca di calmarmi e di spiegarsi più chiaramente, sempre in inglese. La sciura si altera e comincia a ripetere: I don’t speak italian (!).
Fede le risponde che we were speaking english e mi trascina via.

Usciamo e avvisiamo NOI (lo spirito dei servizi al pubblico si spezza ma non si piega!) tutta la fila, e ce ne andiamo dopo aver buttato una mattinata. Mi accorgo che ho il segno dei Birkenstock: mi sono abbronzata in coda a una biglietteria.

La mattina dopo siamo lì alle 9 con aria cattiva, facciamo la fila per un’ora, prendiamo i biglietti per le 11.30 e scopriamo* che i gruppi (leggi: più di una persona) POSSONO prenotare (non si sa come).

Il Parlamento è stupendo, ma se scoprite come prenotare è meglio.

* lo scopriamo quando sto per assalire una giuovine pulzella americana che saltava la fila.

[continua]

vecchiolini allo sbaraglio/3

Arriviamo a Budapest nel tardissimo pomeriggio. Decidiamo di dirigerci all’ufficio del turismo, dove ci han detto che è presente un centro di prenotazioni per dormire (tipo che tu arrivi, gli dici dove vuoi stare e cosa vuoi spendere e loro selezionano e prenotano per te).

Chiara ci porta a destinazione, per posteggiare è un delirio, tutto a pagamento e occupato, sbattiamo la macchina in un posteggio sotterraneo a caso e ci fiondiamo all’ufficio prima che chiuda. In realtà è un ufficio a parte lì a fianco, cui ci rimandano, e la gentilissima (e bellissima) signorina che lo gestisce non solo non ci chiede dove e quanto ma sbarra gli occhioni e ci dice (in inglese) che PROPRIO quel giorno lì inizia a Budapest un grande festival di musica gggiovane e non c’è un buco. Dice che forse ma forse c’è ancora un posto in una pensione, un po’ fuori ma collegata benissimo al centro con la metropolitana, e alla peggio c’è il campeggio, dove hanno anche i bungalow.
Decidiamo di vedere se c’è posto alla pensione e se no andiamo al campeggio (che però è collegato malissimo e a cui non si può telefonare per sapere se c’è posto). La signorina chiama la pensione ma non risponde, insomma ci andiamo a fare una birra e al nostro ritorno ci dice che c’è posto per una notte. Poi vedremo.

Andiamo a prendere la macchina e scopriamo che abbiamo pensato bene di posteggiarla nel parcheggio sotterraneo dell’albergo più lussuoso di Budapest, che per un minuto ci hanno addebitato anche la seconda ora, e che lo pagheremo più di una cena. Scopriremo più avanti che tutti i posteggi in strada alle 6 smettono di essere a pagamento quindi avremmo potuto anche non pagare nulla.

Ci dirigiamo quindi un po’ incavolati verso la pensione. Periferia, vialone a 4 corsie per parte, palazzi scrostati. Vediamo il civico, posteggiamo all’angolo, e torniamo al civico. E’ buio. Spingiamo un cancelletto scrostato e arriviamo a un portoncino fatiscente. Suoniamo, viene ad aprirci un signore non anglofono e dall’aria poco rassicurante – o quantomeno cordiale, attraversiamo un cortile con giardino incolto tipo giungla e finiamo in quello che si rivelerà essere un ostello in palazzina ristrutturata e decisamente pulita, dotata di internet (che non riusciremo mai ad usare) e viavai giovanile (causa del mancato uso di internet troppo affollato), in cui passeremo tutti gli altri nostri pernotti MA cambiando stanza OGNI NOTTE causa prenotazioni dei partecipanti al festival di musica gggiovane. Addirittura una notte finiamo nella doppia con bagno (per il quale pagheremo ben 2 euro in più) ma che affaccia sulla ferrovia – molto transitata. Torneremo con sollievo alla tripla con bagno al piano.

Dopo una cena tipica ungherese compresa di zuppa fredda di frutta (l’unica cosa che non mi è piaciuta del cibo ungherese) crolliamo sul lettuccio.

I giorni successivi li passeremo a cercare di entrare al Parlamento, impresa non da tutti: riusciranno i nostri eroi?

[continua]